Bamboo

La canna esagonale in bambù refendù è stata uno dei fulcri attorno al quale si è articolata la nostra disciplina fino all’avvento della grafite. Più leggera ed economica, più rapida, più pratica, indistruttibile o quasi, la canna in grafite ha facilmente avuto ragione della bellezza e della poesia. Peccato.

L’artigiano che metteva passione e abilità sopra ogni cosa, soprattutto sopra a produttività e redditività, è davvero retaggio del passato. Tuttavia oggi vi sono ancora appassionati che non si rassegnano a tale perdita, che preferiscono far volteggiare le loro code con un prezioso attrezzo in legno, e che trasmettono il loro piacere a chi desidera lasciarsi contagiare.

Edoardo Scapin

Da  molti snobbato dopo l’avvento delle nuove fibre, il bamboo in questi ultimi anni sta riscoprendo una seconda giovinezza; negli Stati Uniti i molti costruttori nati dopo l’era Garrison, sono tutti ultra richiesti a tal punto che ci sono liste di attesa anche di un paio di anni per avere tra le mani una canna costruita da taluni di essi.

Diverse grosse aziende che producono canne in grafite, stanno commercializzando propria ora dei nuovi modelli tendenti a riprendere quelle azioni un po’ più dolci e progressive peculiari delle canne in refendù.

Probabilmente si stanno riscoprendo delle cose dimenticate un po’ troppo in fretta a favore di iper tecnologie date per buone con altrettanta celerità.

La stessa ricomparsa nei cataloghi di alcune aziende costruttrici di canne da mosca in fibra di vetro, con nuove linee di produzione, avvalora questa ipotesi.

Questa nuova era del refendù, maturata lentamente, ha comunque i suoi fondamenti e non solo dal punto di vista dell’oggetto in sé, che già basterebbe, bensì dalla grande “sportività” che si ha nell’approccio alla pesca.

Naturalmente stiamo parlando di una produzione che in linea di massima non eccede di misura gli 8’ privilegiando l’uso di code leggere, fino alla 5.

A detta poi di poi molti esperti e collezionisti, la produzione odierna sorpassa in termini di qualità quella dei grandi costruttori del passato (escluse alcune eccezioni): vuoi per il perfezionamento e la progettazione dei taper (conicità), tendenti ad assecondare le moderne tecniche di lancio, vuoi per le nuove tecnologie applicate ai materiali, vedi vernici, colle, etc.

Da sempre le canne in bamboo emanano un fascino particolare che non deve però essere inteso come antico o comunque sorpassato, anzi la questione è il diverso tipo di approccio alle cose; il suono generato da un violino è certamente diverso da quello generato da una chitarra elettrica ma entrambi servono a creare musica.

Ad ogni modo trovo assurdo che la gran parte dei moschisti si ostini a pescare con i soliti attrezzi il più delle volte sovradimensionati per prendere delle trotelle che a malapena arrivano a 30 cm.

Con una canna di 8’ in grafite per code 5-6 si possono giostrare pesci di 2-3 kg, figuriamoci con i pesci di casa nostra.

Trovo assurdo altresì parlare di pesi in gioco, con canne fino agli 8’ non sono certo i 15-20 gr. di differenza di una canna in bamboo che ci schiantano. E il peso del mulinello dove lo mettete?

Credo invece, ma non è solo mia opinione, che siano le azioni troppo “dure” a stancare durante l’azione di pesca.

La mia passione per il bamboo nasce diversi anni orsono, dapprima come piccolo collezionista e poi con l’idea fissa di potere un giorno cimentarmi nella costruzione.

Questo cammino, che affrontai da solo, mi portò ai risultati di oggigiorno e sempre alla ricerca di nuove applicazioni e tecniche di costruzione.

Chiaramente fui sul punto di mollare tutto diverse volte: sia per la difficoltà oggettiva di avere informazioni dirette, sia per il reperimento e la costruzione dei materiali necessari allo scopo, sia, non per ultimo, per i vari errori commessi durante il percorso. Ma questa ormai è storia.

Dedicai altresì molto tempo alla progettazione dei taper (conicità), cosa che mi affascinò subito e che tuttora mi tiene molto impegnato, sempre alla ricerca di nuove strade da percorrere.

Reputo questo aspetto di fondamentale importanza per un buon costruttore, ma, vista la difficoltà della cosa, taluni preferiscono agire empiricamente o basandosi su taper di altri costruttori.

Analizzando l’approccio scientifico di Garrison, al momento l’unico che consente di progettare con sistema ingegneristico le canne in refendù, sono riuscito, modificando lo stesso in alcune parti, ad ottenere un sistema di progettazione che mi permette di ricavare qualsiasi tipo di taper e non solamente la classica, seppur ottima, azione progressiva di Garrison, su cui molti costruttori basano il loro lavoro.

In sintesi, posso modificare il taper a mio piacimento, creando irrigidimenti o indebolimenti tali da far lavorare la canna come prefissatomi.

Detta così sembrerebbe una cosa del tutto naturale ma procedendo con i numeri le cose cambiano sostanzialmente e le variabili in gioco sono infinite.

Così facendo sono riuscito a mettere a punto una serie di taper per le diverse lunghezze che rispecchiano il mio modo di intendere aspetti quali il lancio e la pesca.

Parlando invece di costruzione questa, nel mio caso, viene eseguita completamente a mano senza l’ausilio di frese (belever).

La stanga di bamboo di Tonkino (Arundinaria amabilis), opportunamente selezionata, viene spaccata longitudinalmente seguendo il cammino delle fibre, salvaguardando così le stesse che ad attrezzo finito arriveranno intere fino al puntale senza essere irrimediabilmente tagliate come nel caso in cui procedessimo in modo meccanico.

Nel panorama mondiale i costruttori di canne in bamboo si differenziano proprio per il tipo di approccio che hanno alla costruzione.

C’è chi procede completamente a mano e chi si aiuta con l’ausilio dei predetti belever, che possono essere usati sia per sgrezzare i listelli sia per finirli.

Ovviamente la costruzione a mano è la più pregiata perché permette al costruttore di lavorare con precisione certosina, essendo tutti i passaggi sotto il suo occhio vigile, arrivando al taper finale con un errore di pochi centesimi di mm; risultato molto difficile da ottenere anche con i migliori belever.

Ovviamente le diverse produzioni differiscono alla fine in maniera evidente sia in termini di quantità e qualità sia in termini di prezzo.

Ma venendo ai listelli spaccati in precedenza, questi tenderanno a prendere direzioni diverse ad ogni nodo costringendoci così a raddrizzarli per mantenere le fibre intatte.

Questa è una delle procedure più tediose che affliggono i rodmakers e va eseguita a caldo mediante fuoco o pistola termica.

Da parte mia eseguo inoltre uno schiacciamento superiore del nodo, sempre a caldo, per poi limare via la minore quantità di fibre e mantenere le “power fiber” più intatte possibile.

Questa seconda operazione, per cui Payne (a proposito di Payne, incredibile, ma notizia dell’ultima ora che la compagnia ha riaperto i battenti non so ancora chi è il nuovo proprietario, ma per il centenario, il 1988, è prevista la pubblicazione di un catalogo che include oltre alle canne in  refendù canne in grafite e accessori vari) divenne “anche” famoso, non viene eseguita da molti costruttori poiché abbisogna di ulteriori ore di lavorazione che taluni non reputano necessarie preferendo un colpo di lima in più.

Si procede così alla sgrezzatura dei listelli che ci permetterà di ottenere la classica forma triangolare; legati poi assieme dovranno essere temprati in forno (anche se precedentemente è stata eseguita la fiammatura sul fusto) per dare modo all’umidità residua di uscire dai listelli stessi, ottenendo al contempo una diminuzione del peso specifico e una maggiore rigidità, mantenendo inalterate le fibre.

A tempra avvenuta e dopo avere tolto la corteccia esterna, si può procedere alla piallatura finale per portare i listelli alla misura esatta per essere incollati.

Questo comunque è solo un breve riassunto della procedura che in realtà implica innumerevoli passaggi e parecchie ore di lavoro.

I listelli, una volta incollati, devono essere legati insieme con una certa tensione che varia tra calcio e cimino ed in funzione del tipo di canna che stiamo costruendo; per fare questo è necessario l’uso di un attrezzo chiamato binder costruito appositamente.

La successiva operazione riguarda la pulizia del grezzo dalla colla residua a volte in più riprese.

A questo punto ci troviamo di fronte ad un grezzo a cui devono essere montati gli accessori a partire dalle ghiere opportunamente preparate per essere alloggiate nelle loro sedi.

Il resto è un lavoro di finitura non meno importante dei precedenti e dove ogni costruttore cerca di mettere il proprio tocco personale a partire dal portamulinello, al sughero di ottima qualità opportunamente sagomato, alle legature di sostegno agli anelli che possono essere fatte sia in  nylon sia, più pregevolmente, in pura seta ultrasottile più difficili da realizzarsi perfettamente.

L’ultima operazione è la verniciatura, eseguita nel mio caso ad immersione per un perfetto risultato, che decreta la fine di un lavoro meticoloso dove grande passione e tecnica si fondono per creare da un “legno” oggetti con una grande personalità.

E’ molto raro incontrare lungo un fiume pescatori a mosca che usano canne in bamboo.

Quando succede, perlomeno a me, desidero osservare un po’ da lontano per vedere quanto siano in simbiosi ed armonia pescatore e canna.

No, non fraintendetemi, non è nata una nuova specie di guardone, è che normalmente si riesce a distinguere colui che usa il refendù abitualmente da chi invece lo usa saltuariamente.

Chi è abituato alla grafite, in molti casi, ha difficoltà ad entrare e rispettare i corretti tempi del refendù.

Disponibilità permettendo scambio volentieri quattro chiacchiere, soprattutto se il pescatore è anche un appassionato di “legno”.

Un episodio del genere mi successe diversi anni orsono in uno stupendo torrente austriaco.

Trascorsa la mattinata a caccia di belle trote e qualche grosso temolo in completa solitudine, sulla via del ritorno, diverse pool verso valle, incontrai quello che poi divenne un carissimo amico mentre volteggiava la coda con il suo bambù seminascosto dalla vegetazione.

L’incontro, poi, fu inaspettato per entrambi in quanto egoisticamente ognuno pensava di pescare nel “proprio” torrente.

Con questa persona ebbi modo successivamente di radicare ancora di più la mia passione per il refendù; egli infatti, grande appassionato, possedeva una stupenda collezione di canne di vari costruttori ed ebbi modo così di provare e toccare con mano attrezzi per me fino a quel momento solo sentiti nominare.

Devo a lui oltre che a mia moglie, il merito di avermi sostenuto moralmente durante i primi esperimenti da costruttore.

E’bello sapere che vi sono pescatori che usano esclusivamente canne in bambù refendù e rifiutano categoricamente l’uso della grafite, perlomeno nella pesca leggera.

Ne conosco diversi, taluni molto estremisti che lo prediligono anche nelle situazioni di pesca più pesanti come quella al salmone.

Ma, a parte i malati cronici, il rifiutare l’uso di attrezzi moderni, che allo stato attuale sono meno impegnativi e permettono lungo un fiume un approccio più semplice e facilitato, è quantomeno interessante e merita un approfondimento.

Tra i motivi più ovvi e banali c’è sicuramente il piacere di possedere ed usare canne con un certo fascino: vuoi per il materiale nobile con cui sono costruite, la manodopera necessaria per assemblarle e la bellezza intrinseca dell’oggetto che non ha eguali se confrontata con la grafite.

Catturare pesci, in particolare per un pescatore con una certa esperienza e in condizioni ideali, non è una cosa difficile si sa; ma è il modo con cui si svolge l’azione, è l’approccio che deve elevare lo spirito del pescatore a mosca, se evoluto.

Preferisco prendere qualche trota in meno e lasciare anche degli spazi di fiume insondato se necessario piuttosto che aggredirlo e bombardarlo con ogni mezzo a disposizione.

Ecco perché a priori uno sceglie un tipo di attrezzatura che esalta l’aspetto sportivo.

Quando giro per fiumi e torrenti e vedo che la maggior parte dei pescatori si limita all’utilizzo di canne di 9’ in ambienti dove una 7’ basta e avanza mi rattristo.

Sono d’accordo che certe canne facilitano la vita, ma a lungo andare scemano l’entusiasmo rendendo l’azione di pesca troppo sicura e banale.

Se poi come sappiamo il 90% degli approcci si aggira in una distanza che non oltrepassa i 10-12 m. non capisco perché si debbano usare per forza canne sovradimensionate allo scopo.

Le 6’ poi sono completamente sparite dalla circolazione.

In un range di distanza come quello accennato sopra, un buon refendù riesce ad esaltare al massimo l’azione sia a livello di piacevolezza e godibilità durante il lancio, sia durante le fasi della cattura, cosa d’altronde ben conosciuta dagli intenditori.

Certo, nella maggior parte dei casi parlando di refendù di qualità ci si troverà di fronte a canne abbastanza specifiche e con una spiccata personalità, adatte a determinate situazioni di pesca.

Ogni costruttore interpreta la canna, e di conseguenza la sua produzione, in base alle proprie conoscenze, ai propri gusti, agli ambienti che è solito frequentare.

Nel panorama mondiale vi sono innumerevoli esempi; a partire dalla stessa Europa tutti conoscono il grande successo che negli anni scorsi ebbe la serie di canne “Wildwasser”di W. Brunner, famoso costruttore austriaco.

Questa serie si è distinta per dei parametri, quali potenza e velocità, normalmente inusuali in attrezzi così corti costruiti in bamboo.

Tralasciando altri autorevoli esempi nella vecchia Europa, la massima espressione a livello di costruzione dimora da sempre negli Stati Uniti.

Le nuove generazioni di costruttori che si ispirano alle diverse scuole di pensiero, sfornano canne per tutti i gusti.

Dai “discepoli” di E. Garrison e dell’azione progressiva, primo fra tutti Carmichael, allievo nonché scrittore del famoso libro, con una produzione di 12-15 canne l’anno, che porta avanti la stessa identica tradizione costruttiva del grande maestro. Art Weiler fa la stessa cosa a prezzi molto più terreni.

Vi sono poi i vari talenti della scuola di Catskill usciti dalla Leonard dopo la chiusura e tuttora attivi: B. Taylor, W. Carpenter, T. Maxell, R. Kusse; grandi nomi dalle cui mani fuoriescono canne di grande classe e prestigio, ricalcanti per certi aspetti la produzione della Leonard Rod Co.

All’Ovest troviamo invece la filosofia del maestro E.C. Powell, pioniere circa sessanta anni fa della costruzione “Semi-hollow”, di cui, tra i contemporanei, J. Widy e M. Wojnicki sono tra i costruttori più accreditati allo scopo, senza scordare che a livello di produzione più industriale esistono comunque la Powell e la Winston, con G. Bracket, che da sempre portano avanti questa tecnica.

Una figura altresì importante nel panorama dei rodmakers americani è senz’altro Tod Young, se non altro perché nipote del famoso Paul nonché costruttore della famosa serie di canne messa a punto dal nonno.

Non dimentichiamo che P. Young fu all’epoca un innovatore in fatto di taper riuscendo a distinguersi fra i vari mostri sacri che allora predominavano sul mercato.

Le sue canne sono tuttora molto ricercate tra i collezionisti con valutazioni in dollari piuttosto alte.

C’è chi invece come P. Brandin costruisce le “Quadrate” seguendo il pensiero dei vari Edwards e Carlson.

Chi come N. Uslan porta avanti il credo delle “Pentagonali” e via dicendo.

Ci vorrebbero troppe pagine per tracciare un po’ di attualità nel pianeta “bamboo rodmakers”, ne esistono molti altri di famosi ed ogni costruttore meriterebbe un capitolo a sé stante.

L’importante è sapere che nell’universo della pesca a mosca esistono mondi come questo semisconosciuti soprattutto in Italia dalla gran parte dei pescatori, mondi dove persone cariche di passione ed entusiasmo continuano una nobile tradizione al servizio di un nobile sport.

Io per il momento mi accontenterei di incontrare un po’ più spesso lungo le rive di un fiume pescatori con in mano il loro refendù e magari, disponibilità permettendo, scambiare quattro chiacchiere.

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