> Sappiamo che probabilmente, nonostante la giovane età, sei tra i più vecchi costruttori di canne in legno italiani, parlaci del tuo inizio.
Beh all’inizio è stato un po‘ complicato, ma la passione è stata quella che mi ha spinto passo dopo passo ad affrontare le varie difficoltà e ad arrivare ai risultati odierni. Eravamo in piena era grafite, in quel periodo pescavo parecchio a ninfa e, pur essendo una tecnica molto catturante, per me era diventata monotona e ripetitiva. Così ho fatto un passo indietro per ritrovare quelle sensazioni che mi avevano fatto innamorare della pesca a mosca e ho cominciato ad apprezzare le canne in bamboo che offrivano un approccio alla pesca più sportivo. Ho iniziato quindi a collezionarle dedicandomi anche al loro restauro. Ad un certo punto mi decisi che dovevo provare a costruirle con l’obiettivo di realizzare canne in bamboo di alta qualità. Il mio percorso è stato in solitaria, non ho avuto insegnamenti, internet non esisteva e le maggiori difficoltà erano ovviamente legate al reperimento di notizie, componentistica e attrezzature varie. Erano i primi anni 90 e ricordo bene le prime stanghe spaccate e i primi nodi raddrizzati! Come molti sono partito con l’aiuto del libro di Garrison/Carmichael che mi ha fatto da guida e, con studio e dedizione, nel corso degli anni ho sviluppato un mio stile personale, sia dal punto di vista costruttivo che progettuale. Alla domanda di un famoso collega ed amico rodmaker che una volta mi chiese: “Ti senti più rodmaker o pescatore?” Lì per lì ci pensai un attimo ma poi la risposta fu chiara: “pescatore“. Già perché a pensarci e stata proprio questa grande passione nata da bambino che mi ha permesso di affrontare questo bellissimo percorso. L’esperienza maturata lungo i fumi è stata la chiave fondamentale che mi ha aperto la strada del rodmaking.
> Solitamente a che costruttori ti ispiri per le tue canne?
Ho sempre avuto un debole per lo stile americano. Diciamo che tra tutti la mia attenzione era ed è rivolta ai grandi costruttori della scuola del Catskill, a Leonard in primis e ai grandi nomi usciti da questa importante azienda che ha segnato il corso della storia del rodmaking. Apprezzo i particolari, la cura e l’attenzione nelle fasi di finitura ma anche e soprattutto la sofisticata ricerca nella progettazione.
> Sei probabilmente tra i pochissimi costruttori italiani famosi anche fuori Italia, cosa ne pensi degli altri mercati e quali sono i paesi dove c’è più cultura per questi oggetti?
Con l’avvento di Internet si è sicuramente allargata la platea di appassionati in giro per il mondo. Anni fa la conoscenza e la cultura sull’argomento erano concentrate in aree ben definite, come gli Stati Uniti e il Nord Europa e gli unici mezzi disponibili per informarsi erano i testi in lingua inglese e i vari cataloghi che periodicamente venivano pubblicati da venditori/collezionisti, Martin Keane per citarne uno su tutti, che erano considerati piccole enciclopedie. Oggi vi sono appassionati e collezionisti in tutto il mondo, dal Giappone al Sud Africa, dall‘ Australia al Sud America. Anche in Italia negli ultimi decenni si è ampliato il numero di persone che si sono avvicinate sia al rodmaking che al collezionismo, segno evidente che il DNA del bamboo, da me simpaticamente battezzato Dinamic Natural Action, viene apprezzato anche dalle nuove generazioni.
> Sappiamo che, oltre ad essere un grande costruttore, sei anche appassionato di antiche attrezzature da pesca; quali sono, secondo la tua opinione, i grandi nomi del passato?
Nel panorama internazionale sono molti i nomi che hanno segnato il percorso e la storia del rodmaking e nominarli tutti è un’impresa impossibile. Brevemente posso dire che due erano le realtà negli anni d’oro del bamboo: la scuola Europea e quella Americana. La prima era rappresentata e quasi monopolizzata da due grandi marchi: Hardy e Pezon et Mitchell. Con le loro notevoli produzioni hanno praticamente
dettato gli stili costruttivi nel vecchio continente. Restando in Europa vorrei nominare il grande Walter Brunner, un solitario e innovativo rodmaker per l’epoca. Ricordo il giorno in cui lo incontrai per caso a pesca nel fiume Ybbs a Goestling parecchi anni fa; scambiare quattro chiacchere con lui fu veramente emozionante per me che ho sempre avuto una grande ammirazione per le sue canne. Oltre oceano la situazione era completamente diversa, il panorama era costituito da un lato da grandi aziende che sfornavano centinaia di canne, dall’altro da singoli rodmakers o piccole aziende artigiane con produzioni più limitate ma di altissima qualità. Ho precedentemente nominato la Leonard Rod Company che ha prodotto alcune canne eccezionali e mi riferisco principalmente a canne destinate alla pesca con code leggere. Da qui grandi nomi divenuti quasi leggenda che, usciti dalla factory, hanno poi intrapreso una carriera indipendente, i vari Payne, Edwards, Thomas, nel passato e i tuttora operativi Walt Carpenter, Bob Taylor, Mark Aaroner, Ron Kusse. Ho sempre avuto un interesse particolare per i taper di Lyle Dickerson, soprattutto nelle misure di 7’6″ e 8’0″, modelli molto potenti e incisivi, ottime canne da pesca, ideali per fumi di una certa portata ma altresì equilibrate e piacevoli nel lancio; la mia preferita è il modello 8014. Come non ricordare poi la Winston Rod Company e E.C. Powell, i primi ad avere applicato il sistema hollow alla costruzione delle canne in bamboo che rivoluzionò negli anni a seguire le scelte sia dei rodmakers sia degli appassionati pescatori. Il fascino e la bellezza delle Thomas & Thomas, azienda fondata da Tom Dorsey e Tom Maxwell, poi passato alla Leonard. Ho posseduto diverse delle loro realizzazioni dalla piccola Caenis alla Montana 8’6″ coda 6 che tuttora ogni tanto uso con piacere. Ed i vari Paul Young o Pinky Gillun, vere leggende del rod making. Tra i vari singoli costruttori vorrei menzionare Gus Nevros per la sua maniacale precisione nei dettagli, probabilmente non molto conosciuto al di fuori degli States, ma molto stimato dai collezionisti e dai colleghi rodmakers. Nomino per ultimo, e non certo per ordine di importanza, Everett Garrison, soprattutto perchè, oltre alle sue stupende realizzazioni, insieme a Hoagy Carmichael ha reso possibile la divulgazione dell’arte del rodmaking, alle nuove generazioni di appassionati: il loro libro resta una vera e propria bibbia sull’argomento, immancabile in ogni libreria che si rispetti. Vorrei inoltre ricordare la figura di uno dei più grandi rodmaker mai esistiti, Tom Morgan scomparso poco tempo fa. Inutile cercare di descrivere a parole cosa Tom ha rappresentato per noi nuove generazioni di rodmakers.
Ah sì forse l’appellativo più indicato è ……“leggenda“.
> La tua canna e il tuo fiume preferito?
È dura la scelta, sono innamorato di tutte le canne che ho sviluppato nel corso degli anni, i modelli sono circa una ventina ma tutti hanno avuto un loro preciso percorso e ciascuno possiede un carattere ben definito. Sono stati progettati per un uso specifico dettato dal tipo di pesca e dall’ambiente a cui sono destinati. Io pesco indifferentemente con canne corte e con canne lunghe, non ho una particolare predilezione per una misura o una potenza specifica. Ma se proprio devo nominare un modello, allora scelgo la serie di 7’0″ GKE-M nelle varie potenze. Forse questo taper è quello che più rappresenta il mio ideale di canna in bamboo proiettato in un’epoca moderna. Anche al secondo quesito mi risulta difficile rispondere, da pescatore girovago ho avuto la fortuna di visitare e pescare in fumi bellissimi. Alcuni percorsi di pesca mi hanno lasciato un segno indelebile sia per la pesca sia per il paesaggio, come ad esempio la valle del Salza, in particolare lo Gschoder immerso in un panorama mozzafiato con le sue stupende lame ricche di temoli. Per restare in Austria mi vengono in mente gli anni passati a pescare nella Traun a Gmunden e successivamente le grosse trote di Bad Ischl e i temoli di Bad Goisern. Il fiume Ybbs a Goestling e Stiebergraben, lo Schwarza, il Pielach e altri percorsi stupendi. Sono innamorato del Gacka in Croazia, meta che frequento annualmente fin da ragazzo, con le sue profondità, le grosse e smaliziate trote che richiedono un approccio molto tecnico e difficile. Il fiume Idrjia in Slovenia ricco di marmorate, fario, iridee e temoli, un paradiso per il moschista. Ma anche qui se per forza devo fare una singola scelta nomino come vincitore il fiume Piave in Italia, con oltre cento chilometri pescabili a mosca, dove ancora si hanno ottime possibilità di pescare stupende trote marmorate a secca, anche di notevoli dimensioni. In questi ultimi anni è diventato il posto dove concentro la gran parte delle mie uscite di pesca e mi auguro che negli anni a venire questo fiume possa essere valorizzato come merita.
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